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da alexc90 » mercoledì 11 aprile 2012, 16:26
La saldatura con cannello ossiacetilenico è possibile perchè la fiamma, subito dopo il dardo, è priva di ossigeno ed è fortemente riducente. La temperatura raggiunta, a mio avviso, è secondarimente importante. Nel caso del mio apparecchio la fiamma è principalmente composta da idrogeno ed ossigeno (ed, ovvimente, i prodotti della combustione); questo rende impossibile il processo di saldatura del ferro, fortemente ossidabile ad alte temperature. La soluzione al problema "ossidazione" protrebbe essere la miscelazione della miscela gassosa con altri gas o vapori dalla caratteristica riducenti (soluzione che ho adottato per poter brasare ferro con ottone) oppure l'uso di disossidanti da applicare in fase di preparazione del pezzo da saldare.
Detto questo, l'apparato si compone di diverse parti:
- Alimentatore
- Cella elettrolitica
- Serbatoio del liquido elettrolitico, in acciaio inox
- Serbatoio liquido diossidante, in acciaio inox
- Cannello
- Serie di dispositivi di sicurezza.
L'alimentatore è switching, made in china, facilmente trovabile su ebay a circa 40€. Eroga 360W @ 12 V circa.
Il principio di funzionamento dell'apparato è quello dell'elettrolisi: se a 2 elettrodi immersi in una soluzione salina applico una differenza di potenziale sufficiente si ottiene la riduzione e l'ossidiazione delle specie chimiche presenti sotto forma di ioni. Nel caso dell'acqua vi è, quindi, la formazione di idrogeno e ossigeno gassoso.
La cella è composta da 27 piatti di acciaio inox. Ogni singolo piatto (140 mm x 100 mm) presenta 2 fori da 8mm sul segmento che unisce i punti medi dei lati corti a 20 mm dagli stessi lati corti. I piatti sono impilati e separati tra loro da guarnizioni perimetrali. Quello che si ottiene è una serie di camere, ciascuna delimitata da 2 piatti, comunicanti attraverso i 2 fori. Sulle 2 piastre poste agli estremi della cella, in corrispondenza dei fori, sono stati saldati gli attacchi per le tubazioni. La cella quindi, schematizzandola come un parallelepipedo, è posta in verticale, con gli attacchi posti sulle faccie laterali. La seconda, l'ottava, la quattordicesima, la ventesima e la ventiseiesima piastra sono collegate, in modo alternato, all'uscita positiva e negativa dell'alimentatore. La cella elettrolitica, così costituita, può essere considerata come 4 elementi in parallelo, dove ogni elemento è costituito da 6 celle in serie. Ai capi di ogni piastra è, quindi, presente, una ddp di poco più di 2V, sufficienti a scindere l'acqua in idrogeno e ossigeno. In questo modo viene ottimizzata l'energia erogata dall'alimentatore.
L'acqua della soluzione elettrolitica, soluzione costituita da una soluzione di acqua con 120 g/L di NaOH, è, quindi, scissa nei suoi costituenti.
La cella è collegata al serbatoio tramite tubazioni e la soluzione elettrolitica quindi viene forzata a circolare tra cella e serbatoio continuamente: dal serbatoio l'acqua entra nella cella attraverso i fori posti inferiormente alla cella e fuoriesce, insieme ai gas prodotti, tramite i fori superiori ritornando al serbatoio. All'interno del serbatoio è alloggiata la pompa.
Una volta che i gas raggiungono il serbatoio sono liberi di uscire attraverso il foro posto nella sommità dello stesso serbatoio. Da qui i gas sono convogliati in un altro serbatoio e fatti gorgogliare, quindi, in una soluzione disossidante. La soluzione è costituita da alcool metilico (metanolo, usato come combustibile per i modellini di auto a scoppio, 5l = 10€, ne avevo in casa un pò casualmente) satura con acido borico. Il gas, leggermente caldo visto che il liquido elettrolitico si scalda sui 50°, fa evaporare la soluzione disossidante che ha un basso punto di ebollizione, caricandondosi, quindi, di acido borico (e metanolo) che svolge la funzione disossidante sul metallo.
Il tutto viene incanalato in un ago di siringa con la punta opportunamente tagliata (bastano un paio di forbici).
Sono presenti diversi sistemi di sicurezza che sfruttano il principio della lampada di davy per bloccare eventuali ritorni di fiamma: uno a monte e a valle del serbatoio del liquido disossidante ed uno nel cannello.
La sicurezza: il sistema è intrinsecamente pericoloso.
Io (a mio rischio e pericolo, non mi assumo responsabilità se accade qualcosa a qualcun'altro) ritengo che la sicurezza dei sistemi di arresto della fiamma siano sufficientemente affidabili (ho subito centinaia di ritorni di fiamma e sono stati tutti bloccati direttamente nel cannello, dal primo sistema di sicurezza) e che le altre precauzioni da me adottate possano bastare ( tutto l'apparato è posto 10m lontano da me, all'aperto e dietro ad un muro, in modo che, nel caso di remota possibilità di esplosione non sia investito ne dalla soluzione disossidante infiammabile -una sorta di molotov- ne dai detriti e schegge dovute all'esplosione).
I rischi sono ben ovvii, la pericolosità è alta e gradirei che, in questa discussione, non si parli ancora di problemi legati alla sicurezza, visto che, chi costruisce un apparato del genere dovrebbe avere bene in mente la situazione ad alto rischio che si prospetta.
I gas finalmente, possono essere bruciati e la brasatura si ottiene scaldando fino al rosso il metallo e facendo gocciale l'ottone.
Purtroppo io vivo, per motivi di studio, lontano da casa, dove è presente il mio piccolo laboratorio. Ci lavoro solo durante le vacanze, quindi, prima di quest'estate non potrò fare delle foto. Ho solo un filmato poco chiaro dell'intero apparato ancora in configurazione non definitiva, preferirei non caricarlo data la bassa qualità .
Per ora mi limito a questa descrizione approssimativa dell'apparato, nel prossimo fine settimana, se sarete interessati, vi farò qualche disegno "più pratico" con lo schema costruttivo che ho adottato, nel frattempo spero di essere stato chiaro.
Saluti